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La pena di morte per il furto nella legislazione di Zaleuco: riflessioni sul paradigma punitivo nella Locri arcaica

Abstract

Il presente contributo esamina uno dei frammenti normativi attribuiti a Zaleuco, legislatore arcaico di Locri Epizefiri, secondo cui “si deve condannare a morte il ladro”. Attraverso un’analisi giuridica e antropologica del contesto sociale della Magna Grecia nel VII-VI secolo a.C., si ricostruisce il significato profondo di una pena che, nella sua apparente sproporzione, rispondeva alla necessità di tutelare l’ordine comunitario e la stabilità economica dell’oikos. Il saggio indaga la funzione esemplare della pena capitale nel diritto arcaico, la sua valenza religiosa e simbolica, e ne propone un confronto con altre legislazioni greche coeve. La figura di Zaleuco viene così riletta alla luce di un modello normativo che antepone la sicurezza collettiva alla salvaguardia del singolo, offrendo uno spunto di riflessione sull’evoluzione storica dei concetti di giustizia, proporzionalità e pena.

This article analyzes one of the legal fragments attributed to Zaleucus, the archaic lawgiver of Locri Epizephyrii, which states that “the thief must be sentenced to death.” Through a legal and anthropological examination of the social context of Magna Graecia in the 7th–6th centuries BCE, the paper explores the deeper rationale behind a penalty that, while extreme by modern standards, served to protect communal order and the economic stability of the oikos. The study investigates the exemplary role of capital punishment in archaic law, its religious and symbolic value, and compares it to other contemporary Greek legal systems. Zaleucus thus emerges as the representative of a normative model that prioritizes collective security over individual protection, offering critical insight into the historical evolution of justice, proportionality, and punishment.


1. Introduzione

Nel panorama giuridico dell’Occidente greco, la figura di Zaleuco di Locri Epizefiri rappresenta un unicum tanto suggestivo quanto problematico. La scarsità delle fonti dirette, la sedimentazione mitografica attorno alla sua figura e la ricezione culturale successiva rendono difficile distinguere il dato storico dalla costruzione esemplare. E tuttavia, alcuni frammenti normativi attribuiti a Zaleuco offrono spunti di straordinario interesse per comprendere le logiche della normazione arcaica, soprattutto in riferimento al ruolo della pena come strumento di consolidamento dell’ordine comunitario.

Tra le norme più frequentemente citate si trova quella che recita: Si deve condannare a morte il ladro. Si tratta di una disposizione tanto radicale quanto rivelatrice della tensione esistente tra norma giuridica e contesto antropologico nel mondo greco arcaico.

2. Il contesto della norma

La legge in questione si inserisce in un modello giuridico arcaico nel quale la distinzione moderna tra pena proporzionata, funzione rieducativa e garanzia individuale è ancora del tutto assente. La pena – nella forma che oggi definiremmo “draconiana” – svolgeva una funzione eminentemente deterrente, ma anche sacrale e simbolica: ristabiliva un equilibrio violato, pacificava la comunità e, in certi casi, propiziava il favore divino.

Nella polis locrese, come in molte altre realtà coloniali greche, l’istituzione del nomos scritto (che si vuole introdotto da Zaleuco intorno alla metà del VII secolo a.C.) rispondeva all’esigenza di sottrarre la giustizia al piano della vendetta privata e della consuetudine orale, per ancorarla a un ordine oggettivo, riconosciuto e condiviso. In tale ordine, il furto non era un semplice reato contro la proprietà: era una minaccia sistemica all’equilibrio sociale, in quanto la ricchezza agricola e familiare costituiva la base della sopravvivenza dell’oikos.

3. La funzione della pena capitale

Condannare a morte il ladro non rispondeva a un principio di proporzionalità retributiva, quanto a una logica di prevenzione assoluta. Nella società greca arcaica – fragile, spesso isolata, continuamente esposta a crisi economiche e minacce esterne – la stabilità interna dipendeva dalla possibilità di proteggere i beni attraverso l’esemplarità punitiva. La sanzione capitale costituiva quindi un messaggio chiaro: l’oikos è sacro, e chi ne turba l’equilibrio infrange non solo una legge, ma una struttura antropologica condivisa.

Inoltre, secondo la prospettiva antropologico-giuridica, va considerato il ruolo della vergogna pubblica come elemento integrativo della pena. La morte del ladro, eseguita probabilmente in modo visibile e ritualizzato, produceva un effetto educativo, rinforzando i limiti simbolici dell’azione lecita.

4. Giustizia e religione: la legge come mediazione tra uomini e dèi

Non si può escludere che l’adozione di pene estreme rientrasse anche in un orizzonte religioso. In molte città greche, la legge scritta era percepita come derivazione diretta o indiretta della volontà divina. Nel caso locrese, l’associazione di Zaleuco con l’ispirazione sacra (alcuni lo dicono discepolo di Pitagora, altri lo collegano direttamente ad Atena) rafforza l’idea che il diritto fosse concepito come strumento teocratico per mantenere l’ordine cosmico nel microcosmo della polis.

Il furto, inteso come rottura dell’ordine naturale del possesso, minacciava quindi non solo la comunità civile, ma anche l’armonia universale regolata dagli dèi. Da qui la necessità di una pena definitiva, non per vendetta, ma per purificazione.

5. Il confronto con altre legislazioni arcaiche

La pena di morte per il furto non è una peculiarità esclusiva di Zaleuco. Troviamo esiti simili in alcuni frammenti della legislazione spartana e in quella cretese, dove il principio di severità assoluta assumeva la forma di punizioni mutilanti o esili. Tuttavia, l’enunciazione netta e lapidaria che ci è giunta da Locri ha un carattere paradigmatico: la legge non ammette eccezioni, né indulgenze. Essa esprime un modello di giustizia assoluta, pre-politica, che pone il bene comune al di sopra dell’individuo.

 Nel VII-VI secolo a.C. l’accento è tutto sulla sanzione come fondamento dell’ordine con poca attenzione al concetto di proporzionalità.

6. Conclusioni

La norma che prevede la condanna a morte per il ladro nel corpus attribuito a Zaleuco è molto più di una curiosità giuridica: è una finestra aperta su un universo normativo che concepiva il diritto come elemento ordinatore e sacro, nato per proteggere la collettività più che per tutelare l’individuo.

Oggi, in una società fondata sulla proporzionalità della pena e sul garantismo, quella norma ci appare inaccettabile. Eppure, essa ci ricorda che la giustizia non è mai neutra, né definitiva: è sempre il riflesso di un modello culturale, di una scala di valori, di un equilibrio sociale che cambia nel tempo.

Studiare Zaleuco, anche nei suoi eccessi normativi, significa interrogarsi sulle origini del pensiero giuridico occidentale e sulla trasformazione dei concetti di pena, responsabilità e ordine. Una riflessione più che mai attuale, nel momento in cui la giustizia contemporanea si confronta con nuove sfide di sicurezza, coesione e legittimità.


Per una visione introduttiva, si rimanda al video divulgativo “Zaleuco: la pena di morte per il ladro”, pubblicato su dirittolocrese.it e disponibile anche in formato Shorts.

 

Tra le fonti antiche di riferimento: Stobeo, Diodoro Siculo, Timeo di Tauromenio, e testimonianze frammentarie riportate in raccolte di gnomologie giuridiche.