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LE LOCAZIONI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS (Avv. Elisabetta Macrì)


L’emergenza epidemiologica che sta attraversano il nostro Paese, le misure di contenimento adottate dal Governo al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus Covid-19 (D.P.C.P.M. dell’11 marzo 2020 e, in maniera più incisiva, il D.P.C.P.M. n. 18 del 22 marzo 2020) e il conseguente blocco di molte attività commerciali hanno determinato notevoli ripercussioni economiche, incidendo sui rapporti commerciali e civilistici.

Uno dei settori maggiormente colpiti dalla crisi in atto riguarda l’ambito delle locazioni, dove l’equilibrio contrattuale tra le parti è stato profondamente alterato: numerose famiglie si sono trovate, infatti, nell’impossibilità di corrispondere regolarmente i canoni locatizi.

Al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di contenimento e di prevenzione connesse all’emergenza, il decreto legge 18/2020 ha adottato delle misure a salvaguardia della posizione del conduttore, ma di fatto le stesse non offrono una piena tutela.

Infatti, in tema di emergenza abitativa il decreto “Cura Italia”, ha, da un lato, decretato il “blocco degli sfratti”, e, dall’altro, riconosciuto ai soli conduttori commerciali un credito d’imposta.

In particolare, l’art. 103, comma 3, del d.l. 18/2020 prevede la sospensione dell’esecuzione di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, sino al 30 giugno 2020. Ciò al fine di tutelare i conduttori già sfrattati in questo particolare momento emergenziale. Il locatore, dunque, non può in questa fase ottenere la liberazione dell’immobile per il tramite dell’Ufficiale giudiziario.

In merito, invece, alle locazioni commerciali l’art. 65 del citato decreto n. 18/2020 prevede, per il mese di marzo 2020, un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone per le sole locazioni di immobili rientranti nella categoria catastale C/1, ossia “negozi e botteghe”, interessate dalla chiusura forzata per effetto dei provvedimenti governativi adottati negli ultimi mesi per fronteggiare l’emergenza. Il conduttore commerciale, dunque, ha diritto a vedersi riconosciuto un credito di imposta sul canone d’affitto, ma non anche a una riduzione o sospensione dello stesso, che deve essere corrisposto per intero, salvo diverso accordo tra le parti.

In merito alle locazioni ad uso abitativo, invece, il decreto “Cura Italia” non prevede alcun sostegno in favore del conduttore.

Quali tutele riconosce, invece, il nostro ordinamento al conduttore che, a causa di un evento imprevedibile e straordinario, non sia più in grado di adempiere alla propria obbligazione?

Una prima tutela è contenuta nell’art. 27 della Legge sull’equo canone n. 392/1978 che prevede la possibilità per il conduttore di esercitare, in qualsiasi momento e qualora ricorrano gravi motivi, il diritto di recesso da comunicarsi a mezzo di lettera raccomandata con un preavviso di almeno sei mesi. I “gravi motivi” che giustificano il recesso devono essere connotati dall’oggettività, devono cioè essere imprevedibili, al momento della sottoscrizione del contratto, estranei alla volontà del conduttore e rendere eccessivamente gravosa la prosecuzione del rapporto. Nel caso dell’emergenza epidemiologica in atto, il conduttore, che eserciti il diritto di recesso, deve provare che la pandemia ha determinato un danno economico-finanziario tale da rendere non più sostenibile il pagamento del canone di locazione o l’utilizzo del bene locato.

Tale soluzione, seppur percorribile, non soddisfa appieno le esigenze del conduttore in quanto l’esercizio del diritto di recesso, da un lato, comporta la perdita dell’abitazione – nel caso di locazione ad uso abitativo – o la cessazione dell’attività – nel caso di locazione ad uso commerciale – e, dall’altro, mantiene viva l’obbligazione principale del conduttore, il quale dovrà continuare a corrispondere al locatore l’intero canone per ulteriori sei mesi.

In alternativa, il conduttore può domandare ai sensi dell’art. 1467 c.c. la risoluzione del contratto per sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione in conseguenza del verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, estranei alla normale alea del contratto. L’eccessiva onerosità non rende l’esecuzione della prestazione impossibile, ma più onerosa, determinando la rottura del rapporto di corrispettività economica tra gli arricchimenti delle rispettive parti. La risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1467 c.c. non opera di diritto, ma solo a seguito dell’esercizio del potere di recesso da parte del locatario. Sarà il giudice, dunque, a decidere se sussistono o meno i presupposti che legittimino la risoluzione contrattuale. Grava sul conduttore l’onere di fornire la prova “rigorosa” circa la straordinarietà e imprevedibilità dell’evento che ha oggettivamente alterato le condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti, sì da rendere per lo stesso la prestazione eccessivamente onerosa.

Per evitare la risoluzione del contratto di locazione, il locatore può offrire al conduttore la possibilità di modificare equamente le condizioni dello stesso, in modo da ristabilire l’equilibrio contrattuale.

E’ però verosimile che, in un momento di crisi sanitaria globale a cui sono conseguiti importanti provvedimenti restrittivi delle libertà fondamentali delle persone, il conduttore non abbia interesse a sciogliere il vincolo contrattuale e a riconsegnare l’immobile, anche in ragione del difetto del carattere della definitività della situazione sopravvenuta che ha alterato l’equilibrio contrattuale tra le parti.

E allora, il locatario quali tutele ha a sua disposizione? Può sospendere unilateralmente il pagamento del canone di locazione o ridurre l’ammontare dello stesso invocando l’impossibilità sopravvenuta e/o l’eccessiva onerosità dell’obbligazione?

La risposta è negativa.

Invero, la sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione da parte del conduttore è legittima solo nelle ipotesi di inadempimento del locatore, la cui prestazione principale consiste nel mettere a disposizione del conduttore un immobile idoneo all’uso convenuto (sia esso abitativo o commerciale) e nel garantirne il pacifico godimento del bene durante la locazione. Ebbene, nel caso dell’emergenza pandemica da Covid-19, non è configurabile alcun inadempimento contrattuale da parte del locatore che possa legittimare la richiesta del conduttore a una riduzione o a una sospensione del canone. Ciò in quanto l’immobile locato continua ad essere nell’esclusiva e pacifica disponibilità del conduttore, tanto nelle locazioni commerciali – ove, sebbene l’immobile non sia accessibile ai lavoratori e al pubblico, permane nell’esclusiva disponibilità del conduttore – quanto in quelle ad uso abitativo – ove lo smart working e la didattica a distanza hanno, invece, incrementato l’utilizzo ed il godimento del bene stesso.

Tale principio appare pacifico e incontestato da copiosa giurisprudenza di legittimità e di merito. Esemplare per chiarezza di indirizzo è la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione terza civile, 27 settembre 2016, n. 18987 in virtù della quale: <<La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è … legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti>>.

Un’eventuale iniziativa unilaterale del conduttore nel senso di ridurre l’ammontare del canone locativo o di sospendere il pagamento dello stesso, appellandosi alla crisi socio-economica in atto, potrebbe costituire, dunque, un inadempimento contrattuale che esporrebbe lo stesso al rischio di una procedura di sfratto per morosità.

Il conduttore può, però, domandare al locatore la rinegoziazione del canone di locazione, consistente in una riduzione temporanea o in una sospensione o posticipazione del pagamento del canone, prevedendo modalità e termini dell’adempimento. La possibilità di ridurre il canone in caso di difficoltà di pagamento da parte dell’affittuario è ammessa a prescindere dalla tipologia di locazione, sia essa per uso abitativo o commerciale.

L’accordo deve contenere la data e la firma di entrambe le parti contrattuali e deve fare riferimento al contratto di locazione in essere, indicando i dati del locatore e del locatario, il canone annuale inizialmente pattuito, l’ammontare ridotto del canone stabilito e il periodo a cui detta riduzione si riferisce.

L’accordo può essere registrato, entro trenta giorni dalla sua sottoscrizione, presso l’Agenzia delle Entrate. La registrazione del patto non è obbligatoria, ma appare ragionevole in quanto, da un lato, conferisce data certa all’accordo – rendendo tutelabile in giudizio la posizione di entrambe le parti – e, dall’altro, permette al locatore di beneficiare di una riduzione delle imposte, le quali saranno diminuite proporzionalmente alla diminuzione del canone.

In mancanza di strumenti giuridici idonei tutelare la posizione debitoria del conduttore, la soluzione della rinegoziazione del contratto di locazione – che richiama i principi di buona fede, ragionevolezza e correttezza contrattuale -, sebbene non obbligatoria, rappresenta la strada giuridicamente più idonea e favorevole per entrambe le pari contrattuali, poiché, scongiurando l’esercizio del recesso da parte del conduttore, mira a salvaguardare il rapporto e a ristabilire l’equilibrio sinallagmatico contrattuale.

Avv. Elisabetta Macri’

Responsabile dipartimento diritto civile AIGA sez. Locri