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Covid – 19 e violenza domestica.


Covid – 19 e violenza domestica

L’emergenza Covid 19 ha imposto all’intero Paese un profondo cambiamento dei ritmi e degli stili di vita. Le attività produttive, gli spostamenti per ragioni personali e professionali, la quotidianità degli individui e delle famiglie sono stati stravolti. Tutti siamo stati invitati o, meglio, obbligati a isolarci nelle nostre abitazioni, unico rifugio sicuro dal pericolo del contagio.

Ma cosa succede quando proprio la casa è la principale fonte di pericolo per la vita e l’incolumità personale di chi la abita?

Il corona virus ha fermato la corsa delle nostre esistenze ma, purtroppo, non ha arrestato il corso della violenza domestica e dei maltrattamenti familiari. L’isolamento in cui siamo precipitati è un vero e proprio nutrimento per queste forme di abuso.

La recentissima esperienza cinese insegna che i casi di violenza domestica, durante la quarantena forzata, crescono in maniera considerevole. Secondo i dati riportati in un articolo apparso l’11 febbraio scorso sul magazine online di Shanghai, “Sixth Tone”, nel solo mese di febbraio la stazione di polizia nella contea di Jianli, del distretto di Jingmen, avrebbe ricevuto circa il triplo delle segnalazioni di casi di violenza domestica rispetto allo stesso periodo del 2019: 162 segnalazioni contro le 47 denunciate l’anno precedente[1].

In Italia le associazioni e le reti dei centri antiviolenza più importanti hanno già lanciato un grido d’allarme per le conseguenze negative che potrebbero ripercuotersi sulla vita delle vittime, a causa del nuovo regime di restrizioni prescritte dagli ultimi d.p.c.m.

Diverse sono le criticità rilevate. Innanzitutto è bene rappresentare che il lavoro dei centri antiviolenza continua; rimane operativo il numero verde gratuito 1522, dedicato alle richieste di aiuto e sostegno alle vittime di violenza e di stalking.

Si è registrata, però, una diminuzione delle telefonate che, purtroppo, non corrisponde ad un decremento dei casi di maltrattamenti ma, piuttosto, è frutto della difficoltà a denunciare delle donne, ormai rinchiuse in casa con i loro aguzzini.

Tra i motivi che impediscono alle vittime di chiedere aiuto c’è la paura di essere scoperte dai propri compagni al cui controllo è difficile sfuggire negli spazi ristretti imposti dalla coabitazione h24.

La limitazione degli spostamenti ai soli casi di necessità certificata non aiuta. Probabilmente dovranno essere escogitati nuovi modi per consentire alle donne di denunciare. Ogni occasione può essere utile: le uscite per fare la spesa o buttare la spazzatura, per esempio. D’altronde, le forze di polizia che presiedono il nostro territorio non potranno che riconoscere la natura “necessaria” dello spostamento di una donna che si allontana da casa per sfuggire a episodi di violenza domestica. In tal senso gli organi di stampa[2] riferiscono di un nuovo protocollo ideato dal Governo delle Isole Canarie in collaborazione con l’associazione delle farmacie e che, ora, si starebbe diffondendo in tutta la Spagna. È sufficiente che la donna si presenti in farmacia – uno dei pochi luoghi dove ancora è consentito andare – e pronunci la frase “Mascherina 19” (Mascarilla 19), affinché scatti un meccanismo di segnalazione alle forze di polizia e alla speciale sezione “violenza di genere” delle procure.

Attualmente potrebbe essere opportuno cercare di sfruttare forme di comunicazione più snelle e veloci, come quelle offerte dai social, per le segnalazioni e per consentire quanto meno un primo contatto tra le vittime e la rete di protezione messa a disposizione dalle varie associazioni. Bisogna sperimentare nuovi percorsi, la gravità della situazione lo impone.

Un’altra ragione che potrebbe indurre le vittime a non denunciare è la paura di essere costrette ad abbondonare la propria abitazione, insieme ai figli, per recarsi in un luogo protetto, una casa rifugio, in un momento in cui è così elevato il rischio di contagio.

Le strutture destinate ad accogliere le donne in difficoltà sono prive di dotazioni sanitarie di sicurezza, mancano luoghi in cui far trascorrere un periodo di quarantena alle nuove ospiti prima di introdurle nelle case famiglia che le riceveranno, dove condivideranno gli spazi con altre persone; gli operatori dei centri antiviolenza e delle case rifugio non sono adeguatamente protetti, pur continuando a svolgere il loro lavoro.

Già in occasione delle audizioni dinnanzi alla commissione giustizia della camera, per l’approvazione della legge di riforma contro la violenza di genere poi confluita nel provvedimento denominato “codice rosso”, era stata da più parti evidenziata la necessità di assicurare una miglior forma di tutela della donna e dei minori. In particolare si auspicava che fosse il maltrattante a dovere lasciare l’abitazione e non la vittima a doversi allontanare subendo un ulteriore trauma. Tali istanze sono rimaste inascoltate.

Oggi più che mai il problema si ripropone in maniera drammatica.

La ricerca di una soluzione alle problematiche evidenziate registra un primo passo in avanti grazie al confronto intervenuto tra la Ministra per le Pari Opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, e la Ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. A seguito dell’incontro tra le responsabili dei due dicasteri, la Ministra Lamorgese ha inviato una circolare a tutte le Prefetture affinché, di concerto con i sindaci e le associazioni che operano sui territori, individuino nuove soluzioni alloggiative, anche temporanee, nelle quali offrire ospitalità alle donne vittime di violenza che, per motivi sanitari, non possono trovare accoglienza negli esistenti Centri Anti Violenza e nelle Case Rifugio.

La circolare 21 marzo 2020[3], diramata dal Viminale, sollecita i prefetti ad avvalersi del potere attribuito loro dall’articolo 6 del decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020, che prevede la requisizione in uso, anche temporaneo, di strutture alberghiere o altri immobili idonei, per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare, nei casi in cui le misure stesse non possono essere attuate presso il domicilio della persona interessata.

Pertanto, i Centri Anti violenza e le Case Rifugio potranno rivolgersi alle Prefetture per trovare adeguate soluzioni al problema dell’accoglienza delle vittime di violenza di genere in questo particolare momento.

L’ufficio politiche di genere della Cgil nazionale ha segnalato, in merito a queste tematiche, la decisione adottata del Procuratore di Trento, dott. Sandro Raimondi. Per tutelare le vittime di violenza di genere, è stato disposto che non siano più le vittime a doversi allontanare dalla propria abitazione, bensì i maltrattanti, in un’ottica di maggior tutela per i soggetti deboli che così, oltre ad essere protetti dal rischio di contagio, non vedranno sommarsi altri traumi alla loro già difficile situazione.

È auspicabile per il futuro l’adozione di provvedimenti sistematici e di carattere generale per far fronte ad un problema, divenuto ormai endemico, la cui soluzione non può certo essere affidata all’iniziativa, seppur meritevole, dei singoli.

Avv. Maria Teresa Milicia

AIGA – sez. Locri

Dipartimento Diritto Penale


NOTE

[1] https://www.peopleforplanet.it/quarantena-violenta-serve-una-parola-in-codice-con-cui-le-donne-denuncino-in-farmacia/

[2]https://www.lastampa.it/esteri/2020/03/21/news/mascherina-19-la-parola-in-codice-per-denunciare-la-violenza-domestica-durante-la-quarantena-1.38617499

[3]https://www.interno.gov.it/sites/default/files/covid_circolare_vittime_violenza.pdf